Molte delle mie giornate lavorative sono passate a preparare il materiale per un servizio, che nel gergo del food styling è un modo elegante per dire che ho dedicato parecchie ore della mia giornata a far la spesa.
Ora, fare la spesa per un servizio di food non è lo stesso che fare la spesa e basta, e a volte mi trovo protagonista di bizzarri episodi.
I.
Interno giorno. Una giovane food stylist scruta con attenzionw il banco del pesce.
Commesso – (azionandondo il salvacode) 55. Prego?
Giovane donna – Si, buongiorno. Senta, avrei bisogno di un po’ di calamaretti, ma mi occorrono i più piccoli che ha. E le dovrei chiedere una cortesia: glieli posso indicare io? Sono per una foto…”
Commesso (brandendo i pesci con sguardo perplesso) Va bene, così?
Giovane donna – Sì, grazie! Mi può dare quello? E anche quello lì! E anche quello là sotto… si, lo vede, sotto quello gigante con i tentacoli spezzati… grazie… sì perfetto. E senta, quelle codine carinissime là sotto la foglia di prezzemolo, si proprio a fianco alle capesante, me le fa vedere? Ah grazie, bellissime! Prendo anche quelle.
Commesso (perplesso) Ecco, a lei!
Giovane donna – (soddisfatta) Grazie mille!
II.
Interno giorno. Una giovane ed eroica food stylist attende paziente il suo turno al banco della salumeria, nonostante l’ingrato compito di acquistare alimenti che disapprova.
Commesso – Prego, mi dica.
Giovane donna – Mi dà 3 fette di roast beef, per favore?
Commesso – (perplesso) Di che?
Giovane donna – (scandisce) Di – rooost – beeef. Quello là dietro.
Commesso – (con aria contrariata) Ah, voleva dire il rosbìf!
La giovane food stylist prende nota del fatto che dal punto di vista dell’Artusi ha ragione il commesso. Avrebbe anche potuto pensarci da sola.
Credits: photographer Giandomenico Frassi; foodstylist Roberta Deiana
tratta da: Elena Spagnol, In cucina, Ed. Salani 2002
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