Ieri notte mi è balenato improvvisamente in testa un pensiero.
Oggi fanno esattamente 10 anni da quando ho messo il mio primo piedino nel fantastico mondo del foodstyling.
Perdinci.
Avevo appena abbandonato la vita (quasi) normale di una redazione web in favore del Richiamo dell’Arte. O qualcosa del genere.
Quei tempi, sì, erano tutta un’altra cosa!
I colleghi che erano nel campo già da 2-3 lustri ci guardavano con affetto e ci raccontavano che ai loro tempi era tutta un altra cosa.
Non c’erano caminetti negli studi fotografici, ma noi junior ci sedevamo attorno a loro e ascoltavamo le storie (che a noi sembravano favole) di note spese illimitate, compensi da favola, shooting in giro per il mondo.
Le storie che vi posso raccontare io oggi sono meno glamour, ma piuttosto vintage.
Gli strumenti di allora, eoni fa anche se il millennio è lo stesso, oggi sono articoli da modernariato chic (la pellicola, le polaroid), per tacer delle certezze.
In tutti questi anni, però, ho imparato importanti lezioni di vita.
Ho imparato a non lasciare mai il cibo incustodito sul set, specie se lo devi ancora scattare.
Ho imparato che il cibo cambia l’umore, ispira gratitudine e ridà il sorriso, specialmente se è gratis.
Ho imparato che un piatto bello sembra anche più buono, sul set, ma anche nella vita reale, e che è vero: alla bellezza si perdona sempre qualche difetto.
Ho imparato che mangiamo con gli occhi molto più di quanto pensiamo.
Ho imparato che aveva ragione Confucio quando diceva che non perché tutti siano in grado di mangiare e bere, sappiano per questo distinguere che cosa è buono.
Ma anche che il cibo sazia un sacco di bisogni che sono fisiologici solo in minima parte: per questo tutti i gusti sono sacrosanti, e se il junk food ti rende felice, va bene così.
E che comunque, una volta sciolta la matassa di quei bisogni, il rapporto col cibo diventa molto più interessante.
Ho imparato che essere capaci di ricominciare ogni volta è una abilità preziosa, sia dopo ogni servizio che nella vita.
Che è sempre meglio non prendersi troppo sul serio.
Che ci sono molti modi per arrivare ad una buona soluzione, non necessariamente il mio.
Che ascoltare gli altri e comunicare con chiarezza il proprio pensiero sono la soluzione a quasi tutte le incomprensioni, professionali e non.
E ho imparato che un bel lavoro in team è meglio di uno in solitario, così come una grande jam session è meglio di un pur splendido assolo, perché l’energia creativa è molto meglio quando si moltiplica.
Le persone più belle e felici che conosco sono quelle che non hanno mai smesso di imparare cose nuove.
Grazie a tutti quelli che mi hanno insegnato qualcosa, in qualsiasi forma o modo, e a chi mi insegnerà altro ancora.
Ho imparato che ho ancora tanto da imparare, e questo mi riempie di gioia.
Credits: fotogramma da How Could You Jean? (1918), con Mary Pickford e Casson Ferguson.
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