Alle ore 13.12 del 12 febbraio 2013 ho scoperto che la carne di pecora può anche essere sublime.
Sino ad allora l’avevo considerata una mera alternativa commestibile alle punizioni corporali.
Come? Dove? Perché?
Prima di rispondervi faccio un passo indietro.
Tra gli approfondimenti di Identità Golose, quest’anno c’era Identità di Sardegna.
Di grande interesse per la sottoscritta per svariate ragioni, tra cui quella biografica, certo, ma anche, avendo pubblicato di recente sulla cucina isolana, per l’opportunità di confrontarmi con lo stato dell’arte.
Del resto, Identità golose è esattamente questo.
Inizio filologicamente corretto con Sergio Mei, il veterano degli chef sardi, in forze al Four Seasons milanese, che prepara su filindeu, i fili di Dio, una trama di pasta sottilissima di una bellezza commovente. Quasi sconosciuta fuori dai confini dell’isola è una tradizione che rischia la scomparsa: va fatta rigorosamente a mano da artigiane esperte. Instancabile sperimentatore e reinventore della tradizione ha trasformato il piatto, tipicamente di terra, cotto nel brodo di carne, in una sublime versione mare con brodo all’astice e crescione.
Segue Stefano Deidda, chef di Dal Corsaro a Cagliari. Il ristorante è di famiglia e da quando ho memoria è il più famoso della città: avrebbe potuto vivere di rendita, invece Stefano a 30 anni ha un curriculum straordinario ed è già da diversi anni considerato una certezza della cucina nazionale. Preparatissimo, non si considera un tradizionalista, ma un ricercatore della materia, dice. Infatti si cimenta in una variazione su un tema tradizionale che di più non si può: il maiale, in 3 versioni: pancetta, filetto e prosciutto. Le tecniche di cottura sono moderne (a bassa temperatura i primi, essicato l’ultimo), gli ingredienti si aprono a qualche piccola contaminazione, per chiudersi con miele e mirto. La sala è entusiasta.
Poi arriva Roberto Petza, il celeberrimo chef stellato di S’Apposentu: sguardo lucido, grande ironia e altrettanta consapevolezza, definisce la sua “una cucina di ingredienti del territorio” e prepara la “Pecora che va al mare”, un piatto semplice come un’illuminazione: una taglio di pecora cotto prima a bassa temperatura, poi in forno con miele di cardo e strutto, accompagnato da una julienne di calamari marinati in una salsa erbe aromatiche dolci e finito con carciofi saltati.
E illuminazione è stata.
Ho capito quanto la pecora sia una carne dalle potenzialità straordinarie. Una prece per tutte le pecore finite in una ingloriosa, iperlipidica, pesantissima cottura in cappotto.
IDS è proseguita con Elio Sironi “sardo adottivo” da 20 anni nell’isola, attualmente chef del Madai in costa Smeralda. Grande presenza scenica e profonda conoscenza della cucina locale, colta nella sua essenza e sintetizzata mirabilmente: “semplice ma esigente”, fatta solo di “grandi materie prime”. E grandissima tecnica. Anche lui rivisita un grande classico, anzi due: la supa cuatta gallurese, corretta con purea di fave fresche, bottarga e scorza di limone e la burrida cagliaritana, in versione destrutturata, per “sentire bene ogni singolo ingrediente”, con un twist decadente: un’addizione di fois gras nella salsa invece del tradizionale fegato del pesce.
La seconda parte della giornata continua con una serie di giovani talenti
Si parte con Manuele Senis dell’ittiturismo Fradis Minoris presso la Laguna di Nora e Mario Tirotto del ristorante Lisboa di Cagliari. Il primo descrive la sua cucina “Stagionale e locale, ma non tradizionale” e trasferisce mirabilmente nel piatto l’ambiente da cui proviene: carpaccio di muggine marinato nelle erbe di laguna, finocchio di mare e elicriso su una vellutata di salicornia.
Tirotto definisce la sua cucina “semplice, non tradizionale, una cucina internazionale con prodotti sardi” e prepara invece un polipo con una crema di gambi di carciofo, una con il fegato del polpo, liquirizia, polvere di elicriso e funghi, un piatto ricco di profumi e di texture, una gran bella esecuzione.
Infine gli ultimi due interventi. Prima Roberto Serra de Su Carduleu di Abbasanta. Dopo molte esperienze dice di aver capito che la sua cucina può essere solo in un modo: “sarda”. E infatti il suo piatto racconta il meglio del territorio, di cui è fiero paladino. Anche lui punta sulla pecora, profumata alle erbe mediterranee e mirto, con cicoriette selvatiche, mandorle e saba di fico d’india tutti rigorosamente local e stagionali. Con lui confermo la mia riscoperta della carne di pecora.
Dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo, Oliver Piras chef a La corte del Lampone, Cortina: neanche 30 anni e un curriculum impressionante. Anche lui si cimenta in una variazione di un grande classico: la pardula. La sua cucina è libera e creativa (“faccio quello che mi piace”, dirà) e la sua pardula del futuro, accompagnata da un pezzo di pardula tradizionale, vince il confronto. Pur essendo di suo un dolce straordinariamente semplice e leggero, lui riesce a fare ancora meglio: sulla base esagonale di biscotto monta un globo di isolmalto farcito di ricotta sifonata aromatizzata all’arancia e pecorino da standing ovation.
Due osservazioni.
La prima: noto con piacere l‘importanza delle erbe in moltissime preparazioni: mirto, rosmarino, elicriso, timo, menta, ma anche crescione, finocchio di mare e salicornia e ancora cicorie ed erbette. Si conferma la tesi che sta dietro il mio libro la cucina delle Janas: che le erbe siano un’elemento centrale della cucina sarda, molto più di quanto comunemente si creda.
La seconda: saltano all’occhio una serie di importanti tratti comuni tra gli chef di cui sopra.
Quelli di una cucina attentissima al territorio, per esempio, che guarda alla tradizione senza dogmi, è aperta all’innovazione nelle tecniche di cottura e trattamento degli alimenti, che è consapevole non solo del valore dei prodotti del territorio ma anche delle potenzialità di crescita e sviluppo economico che questo tesoro gastronomico porta con sé.
È uno scarto di consapevolezza non da poco, che parte dalla straordinaria qualità dei prodotti sardi, dovuta alla peculiare tipologia del territorio, ancora in buona parte incontaminato, che permette di cogliere le erbe aromatiche e le insalatine di campo come solo in pochissime zone del territorio nazionale. Non a caso si è spesso sentita sul palco la frase “queste le ho colte nel [insert place] vicino a casa mia”.
In molti hanno fatto riferimento a prodotti “ a tiratura limitata” scelti con cura da selezionatissimi fornitori, piccoli artigiani creatori di prodotti di grande qualità, che spesso lavorano ancora con metodi tradizionali.
La qualità dei prodotti è la peculiarità del territorio, non vanno disgiunti.
Sono anzi un punto da cui ripartire.
Bentrovata, nuova cucina sarda.
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