Ancora un altro e poi smetto. Mi trovo un hobby serio, tipo il decoupage o lo spinning.
Lo so, lo dico da un pezzo. Putroppo il problema è che ero molto giovane quando ho preso il vizio, e ora è molto più difficile smettere.
Ho cominciato con la folgorazione per la contrada di Bengodi nel Decameron; poi c’è stato l’entusiasmo per la dieta del giovin signore del Parini, e insomma, quando fu il momento dei banchetti di Don Rodrigo e delle osterie di Renzo era già troppo tardi.
Avevo preso il vizio del cibo letterario.
Oggi sono al punto tale che non mi diverto se nel libro non c’è un pranzo abbondante o almeno una frase arguta su cibo e senso della vita.
Nel gorgo della perdizione, Jorge Amado è uno di quegli autori che mi han sempre dato grande conforto.
A parte uno straordinario talento narrativo e la capacità di tenere salda e ben irregimentata un’enorme materia narrativa, Amado era una buona forchetta e di cucina se ne intendeva tanto quanto di letteratura.
Le sue due più note protagoniste, Dona Flor e Gabriela, sono due donne belle e sensuali, ma anche due cuoche dallo straordinario istinto gastronomico che salta fuori quasi in ogni pagina dei rispettivi libri.
Cucina e sensualità per Amado vanno di pari passo: è proprio l’essere in sintonia con i propri sensi che rende queste donne tanto talentuose in cucina, insuperabili nel dosare sapori, profumi e consistenze. C’è un sottile fil rouge che lega il cibo al sesso, la cucina alla camera da letto, e lui lo dipana senza timore.
I suoi libri traboccano della sensualità e della cucina di Bahia, e tuttavia non sono per niente frivoli, come invece qualcuno sostiene: con una ironia lucidissima, Amado mette in luce le ingiustizie sociali, le contraddizioni della società e anche le disparità di trattamento tra uomini e donne.
Difficile non amarlo. Impossibile non scriverne.
Infatti da qualche giorno è uscito per Il leone verde, In cucina con Dona Flor, il mio ultimo libro, in cui scrivo delle sue protagoniste – e cuoche – più note, del constesto storico di quegli anni, del potente legame del Brasile con l’Africa, che torna nella spiritualità, nella danza e, ovviamente, nella cucina baiana, in un viaggio letterario davvero affascinante.
Dai, scherzavo. Mica posso smettere di scrivere queste cose.
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