Ero lì un pomeriggio a scartabellare beata la mia collezione di libri di cucina, quando mi caddero gli occhi su di lui.
Una riedizione del mitico Pelleprat datata anni ’60.
Oh, gaudio! Oh, gioia! Oh, tripudio! Una pletora di foto meravigliose e improponibili si stagliavano senza vergogna davanti ai miei occhi.
Peraltro, a loro favore, va detto che erano facilmente databili senza l’ausilio del carbonio 14.
Il loro stile rispecchiava in pieno l’epoca della produzione. I suoi cliché sul bello.
La tentazione era troppo ehm… golosa. Non ho resistito. Ho tracciato una frizzante storia del Food Styling, seria ma non troppo e lunga il giusto (cioé poco).
Anni ’60: L’alberghiero-chic.
Chissà cosa avevano negli anni ’60 con gli alberghi. Nell’immaginario collettivo, rappresentavano l‘epitome dell’eleganza, il non plus ultra dello chic.
Dovendo fare dei piatti sublimi, doveva essere sembrato normale volgersi in quella direzione.
Vassoi sontuosi, piatti algidi e inarrivabili, esecuzioni dettagliatissime, ripetitive ed estremamente complesse. Il bello era pericolosamente vicino alla nevrosi ossessiva (vedi foto sopra).
Anni ’70: Il ritorno a casa.
Gli anni ’70 sono invece un periodo di transizione.
I piatti lasciano l’albergo di lusso e tornano a casa, senza però riuscire a liberarsi da certe rigidità.
Compaiono comunque ambientazioni più casalinghe e piatti che potremmo avere tutti quanti dentro la credenza.
Ahimoi, l’idea di bello è ancora associata ad una rigida ripetizione di schemi.
La buona notizia è che ci sono ampi margini di miglioramento.
Anni ’80: L’Übercasalingo.
Mentre per strada trionfa l’apologia del fast food, sui libri si celebra il casalingo.Anzi, l’Übercasalingo.
Affinché nessuno dubiti che i piatti sono stati fotografati nel bel mezzo di una vera cucina indaffarata, negli anni ’80 ci si fa un punto d’onore nel mettere tutti, ma proprio tutti, gli ingredienti della ricetta attorno al piatto.
L’aria domestica è indiscutibile (e anche un po’ ansiogena), ma piace così, o così pare.
I libri di cucina comunque cominciano a vendere parecchio, e forse si scambia l’interesse del pubblico per i libri con l’apprezzamento per questa estetica.
La variante autoctona italiana, il suorgermanesimo, si è comunque piantata nell’immaginario comune, perché la troviamo impunemente ancora oggi in tante pubblicazioni/libri food di largo consumo.
Anni ’90 – L’estetica delle Briciole e la nascita del Food Porn.
La rivoluzione arriva dall’America: Martha Stewart Living nasce nel 1990.
Non è un giornale qualsiasi: è il Sacro Vangelo della Scuola dell’Estetica delle Briciole, nota anche come dell‘Imperfetto Chic.
Date un’occhiata ai pregevoli esempi qui sotto.
Già. Quelle briciole così naturali attorno alla torta, quella colata di cioccolato così impertinente e sbarazzina sul ciambellone, sono false come una banconota da 15 euro.
Verosimili, ma false.
L’Imperfetto Chic è studiatissimo.
Ed è anche il papà di un simpatico fenomeno degli ultimi decenni: il food porn.
Quelle imperfezioni, la briciola, la colata di salsa, sono tanto belline, sì, ma non solo. Sono anche la prova razionale dell’autenticità di quel cibo, della sua bontà.
E quindi della sua desiderabilità.
“Hey, sono del vero cibo succulento. E sono qui solo per te!”
Tutto questo con lo scopo di stimolare le reazioni fisiologiche tipiche della razza umana davanti al cibo. L’acquolina in bocca. L’istinto di allungare la mano per tirar su quella goccia di salsa o quella briciola che, hey!, vuole proprio te.
Insomma tutto, fuorchè lasciarvi indifferenti.
Ma la coraggiosa ricerca su questo tema scabroso non finisce qui.
Alla prossima puntata.
Credits: la foto anni ’60 è da H. P. Pelleprat, L’arte della cucina, 1964, Editions Rene Kramer, quella anni ’80 da Ricettario italiano, Demetra; il finto anni ’70 da DailyMail.co.uk; i dettagli foto da MarthaStewart.com
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