Non so se lo sapete, ma il food styling è il tipico lavoro per cui sono necessari dei superpoteri.
Non ci credete? Vi tratteggio subito i principali.
Superpotere #1: la vista a raggi X
Gli umani rispondo a dei comandi atavici. Il cibo è uno di quelli. Sfortunatamente è anche il componente principale del lavoro di food styling.
Ora, se lavorate in un ufficio qualsiasi, nessuno si aggirerà attorno alla vostra scrivania cercando di rubarvi quel report a cui state lavorando da due settimane per mangiarselo. A noialtri, sì.
Quello che gli altri recepiscono come cibo, con conseguente salivazione e succhi gastrici, per un* food stylist è l’equivalente di quel file excell che avete salvato stamattina, di quella presentazione che state mettendo assieme proprio in questo momento.
La vista a raggi X è vitale per preservare il lavoro presente e assicurarsi di poter svolgere anche quello futuro, evitando ritardi negli scatti o nelle riprese per via dell‘inopportuno languorino di qualcuno che non capisce la differenza fra cibo e cibo-non-cibo.
Qualcosa tipo il senso di ragno di Spiderman.
Sarà utile tuttavia anche per individuare il microgranello di pepe sullo sfondo a sinistra, che sbilancia irrimediabilemente la composizione (autocit.)
Superpotere #2: l’invisibilità.
Questo è decisamente il superpotere più importante: il lavoro del food stylist non deve farsi notare per definizione.
Cioè, quando il piatto sembra appetitoso in modo naturale, allora il lavoro è stato fatto bene. La presenza di un* professionista che si occupa di costruirlo nel modo più adatto al set fotografico non si deve intuire, così come un* brav* stylist sceglierà abiti che la celebrity di turno sembra aver spontaneamente scelto dal suo armadio la mattina.
Poi, certo, questa particolarità continua a trarre in inganno qualcuno, che si ostina a considerare il food styling solo una prova lampante della pigrizia del fotografo.
Del resto che ci vuole a portare il piatto sul set, che diamine? Due passi gli fanno pure bene!
Secondo costoro, per esempio, Jamie Oliver lavora senza food stylist, butta lì spontaneamente il cibo sui piatti in maniera carina. La cosa interessante è che invece ha tre food stylist che lavorano a quell’effetto naturale. Che sì, è solo un effetto, voluto e cercato.
Non è ovvio, peraltro. Però basta passare poco tempo sul set per capirlo. Il processo di preparazione dei piatti richiede parecchio tempo. Preparare luci e set, altrettanto. Ha perfettamente senso che ci siano professionisti diversi a occuparsene. Specie se si vuole terminare il lavoro in tempi sensati.
Per questo, accolgo sempre con piacere gli inviti delle scuole di fotografia e delle associazione fotografica di raccontare cos’è il food styling e a cosa serve. Per chi vuole lavorare non mondo della fotografia food, perché è utile capire le dinamiche di un vero set, ma anche per chi, semplicemente, vuole capirne di più.
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